Digitalizzazione e minori come educarli a una navigazione consapevole
Secondo il rapporto annuale dell’Unicef del 2017, 1 utente del web su 3 è minorenne e, nel report redatto nel 2015 da Net Children Go Mobile è emerso che l’età del primo utilizzo di internet è di circa 9 anni e mezzo.
Stando ai dati, dunque, nell’età in cui il minore si approccia al web, la sua coscienza/capacità di comprensione del reale non sono completamente formate.
Poiché «il processo di strutturazione della personalità è suscettibile di essere agevolato, arricchito, accelerato o, al contrario, a seconda che i condizionamenti socioculturali e ambientali operino positivamente o negativamente», occorre garantire misure di cautela e protezione potenziate volte a tutelare il minore che si accinge ad approcciarsi al web.
Nel mondo digitale, come segnalava Giovanni Sirtori, con il passaggio da Homo Sapiens a Homo Videns, dove «la parola è spodestata dall’immagine», e tutto è visualizzato e visualizzabile, il sapere concettuale cede il passo «al sapere percettivo e immediato, diretto e senza interposizioni, fatto di immagini già pronte per essere consumate».
L’apprendimento essenzialmente digitale che si sta affermando per le nuove generazioni è caratterizzato dall’immediatezza, intesa come assenza di mediazione, in quanto, a differenza dei concetti espressi a parole che possono essere conosciuti ed intesi solo se capiti, le immagini potendo queste essere viste, vengono subite prima ancora di essere capite.
Un bambino di 9 anni che fa delle ricerche su Google, per mancanza di competenze informatiche o per la limitata capacità critica che caratterizza la sua fascia d’età, potrebbe non essere in grado di valutare e giudicare le fonti di informazione.
È necessaria una preconoscenza che funga da filtro per individuare, tra i tantissimi e vari risultati ottenuti, i contenuti sicuri e credibili, e che consenta ai bambini di tutelarsi.
Nello spazio digitale sono molteplici le fattispecie altamente lesive per il minore, dal cyberbullismo, all’adescamento, alla pedopornografia online e tutta una serie di fattori latenti che minaccia il suo benessere.
È diffusa l’abitudine di consentire ai piccoli di giocare con tablet e smartphone al solo scopo di farli stare buoni e tranquilli.
Le ricerche evidenziano che le esperienze e l’ambiente che i bambini vivono durante la prima infanzia hanno un determinato impatto sullo sviluppo del loro cervello.
Alcuni psicologi sostengono che l’uso libero di tablet e smartphone da parte di un bambino piccolo, potrebbe portare ad acquisire condotte caratterizzate da minimo sforzo e massimo risultato. Il bambino impara che con il solo indice della mano può accedere ad immagini e tante altre cose fantastiche senza il minimo impegno e senza dunque apprendimento.
Ma il web offre anche opportunità.
L’ambiente digitale può essere un luogo pericoloso per il minore d’età ma può essere anche un mezzo di per favorire la condivisione, l’aggregazione e l’apprendimento.
Se utilizzate correttamente e rese universalmente accessibili, la tecnologia e l’innovazione digitale possono rappresentare una porta che si apre su un futuro migliore per i tanti bambini emarginati – a causa della povertà, della discriminazione etnica, razziale e di genere, delle disabilità, e per motivi geografici (sfollamento e isolamento) – collegandoli a un mondo di possibilità, offrendo loro infinite opportunità per imparare e socializzare, essere considerati e ascoltati e fornendo le competenze necessarie per avere successo nel mondo digitale.
Inoltre, insegnare ai bambini a diventare soggetti attivi della tecnologia, creando ad esempio un piccolo videogioco, consente loro di sviluppare il pensiero computazionale, un processo logico-creativo che consente di scomporre un problema complesso in diverse parti, per affrontarlo più semplicemente un pezzo alla volta, così da risolvere il problema generale, ragionando passo passo sulla strategia migliore per arrivare alla soluzione.
Nell’ambiente scolastico si sta diffondendo la convinzione che la programmazione informatica sia una materia fondamentale per le nuove generazioni di studenti digitali. Infatti, le scuole italiane stanno iniziando a sperimentare dei percorsi didattici per insegnare a bambini e ragazzi i principi del Coding: si insegna a “dialogare” con il computer, a impartire alla macchina comandi in modo semplice e intuitivo, per realizzare giochi ed esercizi interattivi – prevedendo la possibilità di far svolgere ai personaggi sullo schermo le azioni utili al raggiungimento di un obiettivo – utilizzando uno dei linguaggi di programmazione più diffuso al mondo, il codice JavaScript.
Steve Jobs affermava che «ognuno dovrebbe imparare a programmare perché insegna a pensare» e giocando a programmare, i ragazzi imparano ad utilizzare la logica e il pensiero computazionale per la risoluzione dei problemi anche complessi.
Lo spazio virtuale, inoltre, può diventare un luogo di affermazione delle capacità individuali del minore.
La convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (di seguito semplicemente “Convenzione”) all’ art. 12.1 riconosce al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la propria opinione su ogni questione che lo interessa e nell’art. 13.1 il diritto alla libertà di espressione che comprende «la libertà di ricercare, di ricevere e di divulgare informazioni e idee di ogni specie, indipendentemente dalle frontiere, sotto forma orale, scritta, stampata o artistica, o con ogni altro mezzo a scelta del fanciullo».
La rete può rappresentare dunque un “mezzo” attraverso cui il minore può esercitare i summenzionati diritti purché sia capace di discernimento e sia guidato in tal senso dai genitori o, se del caso, dai suoi tutori legali, in maniera che tale esercizio «corrisponda allo sviluppo delle sue capacità» (art. 14.2 della Convenzione).
Il ruolo di genitori e scuola
È innegabile che la tecnologia digitale e l’interattività presentano dei rischi significativi per la sicurezza, la privacy e il benessere dei bambini – ingigantendo minacce e pericoli che molti di loro affrontano anche offline e rendendo quelli a rischio ancora più vulnerabili. Ma il web non è da considerarsi solo una selva oscura nella quale cercare di non smarrirsi.
L’incremento della connettività online ha aperto nuove strade all’impegno civico, all’inclusione sociale e a molte altre opportunità, offrendo la possibilità di rompere il circolo vizioso della povertà e dello svantaggio sociale, di migliorare l’apprendimento e sviluppare nuovi talenti e competenze.
In questo quadro, giocano un ruolo fondamentale i genitori e gli educatori: i genitori riconoscendo i pericoli e le potenzialità della rete e fungendo da mediatori tecnologici ed incoraggiando i figli ad usare saggiamente la tecnologia digitale e gli educatori assumendosi il ruolo di guida, di creatori di contesti e controllori della qualità.
Per questo si rende necessario educare all’uso della rete, partendo dagli adulti, da coloro che conoscono meno il mondo online rispetto ai nativi digitali, ma sono tuttavia responsabili della formazione della consapevolezza digitale dei minori.
A tale proposito non bisogna dimenticare che il minore non solo può diventare persona offesa in relazione a fattispecie di reato (es. adescamento, pedopornografia) ma può egli stesso produrre e mettere in rete dei contenuti non appropriati o altamente offensivi e lesivi dell’altrui dignità (cyberbullismo) che costituiscono illeciti perseguibili civilmente e penalmente.
I ragazzi che cominciano ad usare le nuove tecnologie, devono essere guidati affinché possano riuscire a comprendere appieno la loro vulnerabilità ai pericoli online e come proteggersi, nonché la loro responsabilità di essere buoni cittadini digitali.
È necessario insegnare loro ad utilizzare la rete non come un fine ma piuttosto come un mezzo per costruire saggiamente il proprio cammino verso l’età adulta, imparando anche a fare la differenza, considerato che, come affermava Nelson Mandela, «non ciò che ci viene dato, ma la capacità di valorizzare al meglio ciò che abbiamo è ciò che distingue una persona dall’altra».